Durante questa settimana, che segna ogni anno un periodo di attivismo e mobilitazione social per discutere e far riflettere sul mondo della moda e del consumo, ho partecipato ad alcune delle tante attività e live proposte.
Anche se bene o male ero già a conoscenza dei retroscena del mondo del fast fashion ho voluto sfruttare questo tempo per imparare qualcosa di nuovo da poter poi usare e ricondividere a mia volta.
Particolarmente piacevole è stata la Masterclass sul fashion sostenibile di Martina Spadafora, colonna portante del movimento FashRev Italia e di cui mi piacerebbe riportare alcune delle cose che ho appreso, mettendoci magari qualche considerazione personale in mezzo (in corsivo)
Cos’è la sostenibilità
La moda etica, per quanto al momento rappresenti ancora una nicchia, seppur in espansione, è possibile, ed è l’ unico modo di produrre vestiti che sia moralmente accettabile.
Pensiamoci bene, ognuno di noi vive con dei valori che cerca di rispettare, e tra questi troviamo alcuni dei diritti fondamentali. Quello che noi dimentichiamo spesso, come consumatori, è che i nostri valori vanno oltre quello che possiamo vedere e toccare, che se difendiamo il diritto delle donne allora non dovremmo incentivare il loro sfruttamento, che se teniamo all’ ambiente allora non dovremmo far si che i nostri vestiti causino l’ inquinamento dell’ acqua dei paesi più poveri, che se amiamo la sincerità non possiamo non condannare le nefaldezze di alcuni colossi della moda.
Quello che noi definiamo moda etica non è altro che il rispetto per chi lavora e per il mondo, che possiamo anche tradurre in- non essere degli egoisti ipocriti ma difendere i propri ideali anche quando non ci riguardano direttamente.
La sostenibilità può rientrare in diverse categorie, da quella sociale (che protegge i lavoratori e assicura loro il giusto compenso per vivere), a quella ambientale( che cerca di ridurre l’ impatto di ogni operazione) a quella commerciale ( che ha come obbiettivo quello di costruire un solido modello di business basato su regole da seguire).

Parliamo di rifiuti tessili: ma voi sapete quanto inquinano i vestiti? Al giorno d’ oggi ogni fase del ciclo vitale di un abito ha un forte impatto ambientale. Producendoli utilizziamo energia, utilizziamo materiali che sono sempre più chimici, se non vera e propria plastica, e li coloriamo e lavoriamo con prodotti chimici che non vengono controllati e spesso finiscono nei corsi d’ acqua, facendo ammalare le popolazioni dei paesi poveri. Durante la vita dei nostri prodotti essi possono perdere microplastiche che vanno a inquinare i mari e quando la loro vita sarà prematuramente finita finiranno bruciati( non molto ecologico no?), in discarica (dove svilupperanno gas metano e inquineranno le falde acquifere) o ancora possono finire persi nell’ ambiente (di male in peggio…).
Ma come abbiamo visto parlando di sostenibilità il problema ambientale non è l’unico di questo settore, che sfrutta in modo ingiusto delle persone che non hanno la possibilità di rifiutarsi, di chiedere uno stipendio adatto, e a volte rischiano addirittura la loro vita, come in quel fatale 24 aprile del 2013.
Sapete quanto guadagna in media un operaio del settore? Trenta centesimi all’ ora. Così per coprire i costi, in una famiglia non devono lavorare solo i genitori, ma anche i figli.
In un periodo storico dove a portata di click abbiamo tutte le informazioni che vogliamo, mi sembra doveroso richiedere alle aziende una massima trasparenza sulle loro politiche aziendali, così che i clienti non siano all’oscuro dell’ incubo che per molti è lavorare in un settore che crea le sue infinite collezioni con il sudore e il sangue dei suoi operai, e non si sincera delle condizioni in cui queste persone devono lavorare.
Chi pensa al profitto senza badare alle conseguenze non merita entrate da milioni di dollari, non merita di essere un esempio di stile, non merita un negozio in ogni via principale di ogni città, perchè sta truffando i sui stessi clienti, promettendo felicità in cambio di un costo che i suoi stessi clienti non sanno che dovranno pagare con gli interessi.

A fair closet
Marina durante la sua Masterclass non si limita a puntare il dito ma da anche delle soluzioni concrete, e spiega come avere un guardaroba etico. Le opzioni che sto per elencare non sono in ordine di sostenibilità, come possiamo immaginare siamo tutti diversi e viviamo in contesti differenti, e le soluzioni che possiamo adottare non sono universali e adatte a tutti. A ognuno il suo, diciamo così…
1- Comprare localmente, magari da giovani desiner, o comunque privilegiando il Made in Italy
2- Acquistare capi vintage o di seconda mano
3- Comprare abiti equo e solidali
4- Acquistare prodotti ricavati da materiali riciclati, che possono essere scarti tessili o veri e propri vestiti ritrasformati
5- Acquistare non tossico, controllando che i prodotti utilizzati nella fabbricazione non siano dannosi per l’ uomo e l’ ambiente
6- Acquistare su misura, commissionando un lavoro a dei sarti
7- Scambiare i propri vestiti co amici e conoscenti tramite Swap party
Sul sito di Fashion Revolution è possibile trovare una mappa nazionale con segnalati i vari negozi, suddivisi per tipologia di offerta, in modo da rendere più facile, per noi consumatori, affidarci a dei marchi che rispettino i nostri valori ed essere sicuri che siano trasparenti e controllati.
Anche se questi grossi colossi del fast fashion sembrano invincibili, non fanno altro che assecondare le richieste del mercato, e nessuno ha più potere di chi paga.
Chi fa quindi la fashion revolution? La Fashion revolution la fai tu, o meglio, la facciamo tutti noi che diciamo –basta!– a questo comportamento sconsiderato da parte di brand totalmente insostenibili.
I am fashion Revolution
Sono molto contenta di aver preso parte a questo evento, perchè è una battaglia molto importante secondo me e va combattuta.
Una delle mie più grandi paure è quella di considerarmi un ipocrita, di aver paura di espormi e andare contro la vocina nel mio cervello, e mi sono promessa che se con le mie azioni io dovessi riuscire a migliorare il pianeta, allora avrei dovuto mettermi in gioco. Io non ho paura che gli altri mi considerino un’ esaltata del clima o dell’ ambiente, semplicemente – se facessi qualcosa che so essere sbagliato starei male con me stessa. Per questo no mangio carne, per questo ho deciso di rompere con il fast fashion.
Non voglio essere perfetta, voglio volermi bene, e dimostrare amore alle persone che abitano questo bellissimo pianeta.
Credo che dimostrare amore e rispetto per le cose che possediamo è un gesto molto importante al giorno d’ oggi, così tanto da poter essere definito “rivoluzionario” in un mondo dove l’ importante è l’ apparenza e l’ apatia e il distacco sono sinonimo di forza e motivo di emulazione.
Io lo so che il coinvolgimento emotivo causa sofferenza, ma la vera sofferenza non la stiamo vivendo noi, e mie sembra doveroso, per il solo fatto di godere di diritti che altri non hanno, appoggiare la costruzione di un mondo più equo.

Un pensiero riguardo “La rivoluzione inizia dal tuo armadio: una Masterclass di Marina Spadafora”