Sei quello che (non) mangi. Il problema dello spreco alimentare.

Tante sono le azioni che possiamo fare per ridurre il nostro impatto sulla terra, ma a volte il problema sta nel sistema, e per quanto ci impegniamo come singoli individui, il nostro potere rimane limitato.

Da quando sono arrivata in Danimarca ho scoperto un gruppo di “cacciatori di tesori” che pratica Dumpster Diving, ovvero che si reca dai supermercati dopo l’orario di chiusura per raccogliere dai cassonetti il cibo che è stato buttato ma ancora in buone condizioni.

All’inizio ero un po’ a disagio con l’idea di frugare nella spazzatura d’altri, finché non ho visto con i miei occhi dentro uno di quei cassonetti. Non avrei mai potuto immaginare quanto cibo venisse buttato a fine giornata, e mi sono stupita di come, in un paese così avanti per quanto riguarda la sostenibilità, il problema dei rifiuti sia un ostacolo ancora ben saldo. Figuriamoci in Italia dove pratiche come il DumpsterDiving sono addirittura illegali.

Così ho pensato a quanto il tema dello spreco alimentare venga spesso collegato ad un consumo domestico e per cui vengano sempre incolpate le famiglie e le nostre cattive abitudini alimentari da “mondo occidentalizzato”, evitando di parlare di tutti gli altri protagonisti del dramma, che fanno parte di un sistema sbagliato che non mette in conto le conseguenze delle nostre azioni. Ma quanto sappiamo su questo argomento?

I dati sullo spreco alimentare

Secondo uno studio della FAO (2011), ogni anno vengono sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo. Tra queste circa l’80% è ancora consumabile. Tra queste, una gran parte arriva dai Paesi industrializzati.

Secondo la Coldiretti la totalità del cibo che finisce nella pattumiera servirebbe a sfamare 44 milioni di persone.

Un italiano spreca in media 149 kg di cibo all’anno. Oltre al grande danno ambientale dovuto allo spreco di risorse, questo è anche un danno economico.

Secondo il Barilla Center for Food and Nutrition, ogni anno finiscono nella spazzatura dai 10 ai 20 milioni di tonnellate di prodotti alimentari per un valore di circa 37 miliardi di euro. Circa 450 euro l’anno a famiglia che potrebbero essere risparmiati con una migliore attenzione.

Il settore alimentare produce il 26% delle emissioni di gas serra globali. Uno studio dimostra come un quarto di queste emissioni proviene da cibo che viene scartato durante la filiera produttiva per vari motivi. Questo significa che lo spreco alimentare causa il 6% delle emissioni di gas serra globali.

Gli sprechi durante la catena produttiva

Come possiamo immaginare, il cibo prima di arrivare negli scaffali dei supermercati attraversa un lungo percorso.

Già durante la coltivazione e lavorazione di un prodotto abbiamo un numero di scarti elevato: ogni anno in Europa si generano 700 milioni di Tonnellate di scarti agricoli.

Nei paesi in via di sviluppo questo è il momento in cui avvengono maggiori sprechi dovuti alla mancanza di attrezzature efficienti, basti pensare che durante il trasporto su strade malconce alcuni prodotti possono rovinarsi o che senza un adeguata refrigerazione la shelf life di un alimento si accorci notevolmente.

Nella fase di distribuzione gli scarti sono dettati principalmente da fattori estetici: finiscono nella spazzatura tutti gli alimenti troppo piccoli, troppo grandi, ammaccati, con qualche imperfezione, o che non sono stati impacchettati correttamente.

Poi abbiamo anche il fattore “sovrapproduzione” che determinano il cosiddetto “invenduto” e i problemi legati ad un errata distribuzione. E anche qui, l’errore umano si trasforma in rifiuti.

Infine abbiamo la fase del consumo ( ristoranti e c. domestico), dove, soprattutto nei paesi più sviluppati, abbiamo gli sprechi più consistenti.

Alimentazione e emissioni gas serra

LOsservatorio sugli sprechi ha rilevato che tra i prodotti più sprecati a livello domestico in Italia, si trovano i prodotti ortofrutticoli (17%), pesce (15%), pasta e pane (28%) uova (29%) carne (30%) e latticini (32%).

Oltre allo spreco diretto di cibo bisogna anche pensare a come un sistema che impiega risorse per creare qualcosa che finirà invenduto sia intrinsecamente inefficiente. Bisogna tenere conto che quello che mangiamo (o buttiamo) ha impiegato tempo e risorse per crescere, venire lavorato e trasportato. Un bene non è solo l’oggetto materiale, ma anche tutto il lavoro che ci sta dietro.

Ogni nostro acquisto (o spreco) ha un impatto di cui siamo responsabili. Uno dei fattori “impattanti” da tenere in conto può essere la carbon footprint.

grafico carbon footprint alimentazione

Questo grafico ci mostra quanto è impattante ogni alimento e quali fasi della filiera sono più inquinanti.

La carne di manzo per esempio si trova al primo posto: un Kg di carne di manzo è responsabile di 60 kg di emissioni gas serra, ovvero circa il doppio dell’agnello. Lo stesso quantitativo di mele produce invece meno di un kg di emissioni gas serra.

Il problema del consumo sempre maggiore di carne e derivati è descritto in molti libri e saggi; se volete farvi un idea sulle conseguenze degli allevamenti sul nostro pianeta ecco 3 articoli da cui potervi informare: Dagli allevamenti intensivi allo spreco alimentare di Essereanimali.org, L’impatto ambientale della produzione di carne – 1a parte e L’impatto ambientale della produzione di carne – 2a parte di Georgofili.info

Oltre ai prodotti di origine animale, in alto in classifica troviamo caffè e cioccolato, che per essere coltivati, lavorati e fatti arrivare in Europa hanno bisogno di molta energia e risorse.

Quello che mangiamo è in relazione con quello che buttiamo, e cambiare le nostre abitudini alimentari può influenzare l’impatto dei nostri sprechi.

Discariche VS Compost

Oltre a fare meglio i nostri acquisti e influenzare l’offerta verso opzioni più sostenibili, è molto importante pensare al “dopo” di un prodotto.

Secondo uno studio presentato alla quarta conferenza internazionale sui rifiuti solidi urbani, solo il 25% dei rifiuti organici diventano compost, mentre il restante 75% finisce in discarica, generando emissioni gas serra.

In breve abbiamo trasformato un alimento in uno scarto e poi in un rifiuto inquinante.

Perchè inquinante? Il cibo è pur sempre qualcosa di organico, non si dissolve nell’ambiente con il tempo? Cosa cambia quindi da una discarica a un sistema di compostaggio? –

No, quando gli scarti arrivano nelle discariche non hanno lo spazio e l’ossigeno necessario a decomporsi in modo ottimale, così subiscono una decomposizione anaerobica (senza ossigeno) e generano metano, uno dei tre potenti gas serra 25 volte più potenti della CO2, contribuendo al riscaldamento globale.

Il compostaggio è invece un processo copiato dalla natura, in cui si riproducono i processi naturali che trasformano la sostanza organica in humus. Da tale processo si ottiene  il compost, ottimo ammendante per la valorizzazione agronomica dei suoli.

Il compostaggio, sia a livello industriale che comunitario, consente, infatti, di recuperare le sostanze organiche presenti nei rifiuti solidi urbani per reintegrarle nei terreni, prevenendo i fenomeni di erosione, incrementando la fertilità biologica dei suoli e contribuendo, anche, al ripristino dei siti contaminati da composti tossici.

Discaricha e compost differenze

Le principali cause dello spreco alimentare:

Come abbiamo già detto, sono molti gli attori di questo problema, e ogni settore andrebbe ripensato considerando le sue inefficienze e sprechi.

Da quello che ho capito cercando materiale per questo articolo, le principali cause dello spreco alimentare sono queste:

  • le cattive abitudini di spesa di milioni di persone
  • l’inosservanza delle indicazioni poste in etichetta sulla corretta modalità di conservazione degli alimenti;
  • le date di scadenza troppo rigide;
  • la tendenza a servire porzioni di cibo troppo abbondanti;
  • le promozioni che spingono i consumatori a comprare più cibo del necessario.

Per ridurre la quantità di cibo sprecato basterebbero delle accortezze maggiori da parte nostra e delle aziende e una legislazione che favorisca un economia circolare da parte del governo e dei comuni. Come consumatori è giusto prendersi una fetta di responsabilità, ma è necessario anche puntare il dito contro un sistema sbagliato, che permette ogni giorno che un enorme quantità di cibo venga buttata quando molte famiglie soffrono la fame e siamo prossimi al collasso ecologico e climatico.

Quante scuole, uffici pubblici, ospedali cercano di limitare i loro rifiuti? e quanti ristoranti conosciamo che adottano una politica rifiuti zero? E davvero non possiamo dare una fine migliore ai prodotti dei supermercati che hanno superato la data di scadenza? Quei prodotti non vengono neanche separati dagli imballaggi, come può essere accettato tutto questo?


Ciao, scusatemi se l’articolo di oggi sembra più una ricerca scolastica che un post ma a volte è necessario conoscere a fondo un problema prima di parlare della soluzione.

Se questo post ti è piaciuto, leggi anche il mio articolo sul dumpster diving, un’attività che ho scoperto da poco ma che ha un grande impatto ambientale (in positivo).

Dumpster diving: la mia esperienza

Durante un percorso zero waste non ci si può non imbattere nel problema dei rifiuti alimentari. E se vi dicessi che esiste un modo per evitare che del cibo venga buttato, e nel frattempo risparmiare sulla spesa?…

Inoltre, tutti questi dati allarmanti mi hanno ispirato per un articolo rivolto ai ristoratori che vorrei pubblicare presto. So che se già è difficile diventare zerowaste in famiglia, in un locale è 1000 volte più difficile, ma vorrei comunque dare degli spunti che con un po’ di organizzazione e interesse siano comunque un passo in avanti.

3 pensieri riguardo “Sei quello che (non) mangi. Il problema dello spreco alimentare.

  1. Il dumpster diving l’ho scoperto di recente (non lo pratico, ma intanto ho localizzato un supermercato che farebbe al caso mio…). Non sarebbe neppure necessario se fosse possibile recuperare di più e meglio dai punti vendita a fine giornata, e – soprattutto – potessero ritirare il cibo non solo le associazioni ma anche singoli cittadini. Il cambiamento sarebbe enorme e non andrebbe a detrimento di nessuno (compreso chi fa fatica ma non ha una rete di sostegno).

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