Dumpster diving: la mia esperienza

Durante un percorso zero waste non ci si può non imbattere nel problema dei rifiuti alimentari. E se vi dicessi che esiste un modo per evitare che del cibo venga buttato, e nel frattempo risparmiare sulla spesa?

E’ da tanto che voglio fare questo articolo ma in qualche modo c’è sempre qualcosa che mi frena, magari è l’argomento poco invitante di cui andremo a parlare oggi o semplicemente il fatto che il dumster diving si basa su un concetto così semplice da non meritarsi un articolo intero a riguardo. Ma ve l’avevo promesso alla fine dell’articolo sullo spreco alimentare, e quindi non posso tirarmi indietro. Oggi vi racconto tutto quello che ho scoperto facendo dumpster diving. Che cos’è? Vediamolo imnsieme…

Come ho scoperto il dumpster diving

Tutto è iniziato qualche mese fa, quando ero confinata a casa di mia madre a causa del Lockdown e passavo le nottate guardando video su youtube e a scoprire nuovi creators. In una di quelle serate grigie ho scoperto una simpatica ragazza danese che portava l’argomento zerowaste e sostenibilità ambientale in un modo diverso dagli altri, più sincero e senza i filtri che fanno sembrare questo stile di vita fancy e costoso.

La ragazza di cui parlo è Gittemary Johansen, e il suo canale è uno dei miei preferiti in assoluto, nonchè pieno di spunti interessanti per un approccio green alla vita di tutti i giorni.

Grazie a lei ho scoperto il dumster diving, la pratica di raccogliere i rifiuti dalla spazzatura dei supermercati e centri commerciali per salvare tutti quegli alimenti che non sono più vendibili ma che possono ancora essere consumati.

Dumpster diving (also totting,[skipping,skip diving or skip salvage,) is salvaging from large commercial, residential, industrial and construction containers for unused items discarded by their owners, but deemed useful to the picker.

Wikipedia

Quello che ho scoperto è che davvero troppi alimenti vengono gettati via prima di essere andati a male, e che spesso nelle spazzature (dumpsters in inglese) si può trovare cibo valido senza doverlo neanche pagare. Volevo provarci.

Ma purtroppo, in Italia, come già mi aspettavo, il dumster diving è illegale, e il governo preferisce che tonnellate di cibo in buono stato finiscano nelle discariche piuttosto che usare quei “surplus” per sfamare chi ne ha bisogno.

E così ho accantonato la speranza di vedere con i miei occhi quello che è possibile trovare tra i rifiuti di un supermercato, o meglio, credevo che fosse così, finche non mi sono trasferita io stessa in Danimarca.

La mia prima volta

Con il trasferimemnto a Copenhagen ho iniziato a cercare gruppi nella mia zona che praticassero dumpster diving, per farmi consigliare e scoprire se esistesse una community a cui affiancarmi, ma sui social tutti i gruppi erano inattivi, e dal vivo non conoscevo nessuno, quindi ho deciso di provare per conto mio.

Ad aiutarmi è stato il video 10 THINGS YOU SHOULD KNOW ABOUT DUMPSTER DIVING // the dos and don’ts of food rescue , ovviamente di Gittemary Johansen, che consiglio a tutti gli interessati all’argomento.

Per prima cosa ho controllato a che ora chiudessero i negozi nella mia zona e grazie all’aiuto di google maps ho creato una specie di itinerario da seguire.

Alle 21 sono uscita di casa alla ricerca di qualcosa di ancora buono da mangiare e, ve lo giuro, su 10 supermercati in cui sono andata, 9 cassonetti erano inaccessibili, mentre uno non aveva niente (magari ero arrivata troppo tardi e il camion dei rifiuti aveva già svuotato tutto). Non mi ero preparata a questo fallimento, perchè dai video sembrava tutto così semplice e socialmente accettato che non avevo pensato che,magari, ai dipendenti non facesse piacere avere qualcuno che va a rovistare nella loro spazzatura e fossero costretti a nasconderla.

Prima di arrendermi e tornare a casa ho provato a fare un ultimo tentativo in una Coop non proprio vicinissima a casa mia ma ancora fattibile in bici, e incredibilmente ho trovato quello che cercavo.

Eccolo lì, non proprio bellissimo, non proprio igienicamente sterile, ma con i giusti accorgimenti diventa una fonte sicura di cibo. Se per esempio si cerca di evitare tutto ciò che sta ai lati e sul fondo, che sono le zone più sporche, rimane comunque tanta scelta.

A questo punto basta prendere quello che si vuole, e portarlo a casa, dove andrà lavato e igienizzato prima di venire riposto in frigo o in dispensa.

Dopo quella prima volta sono andata spesso in quel cassonetto, che ho rinominato “Too good to go” per quei curiosi dei miei conquilini che vogliono sempre sapere come mai arrivi a casa dopo il lavoro con del cibo nelle buste.

Cosa trovo di solito? verdura incellofanata, che di solito è quasi tutta perfetta tranne per uno o due pezzi che stanno marcendo, banane, carne in scadenza, pane fresco (chiuso in una busta), pane in cassetta, prodotti da forno del reparto gastronomia… incredibile ma vero, a volte trovo anche detersivi o matite rovinati (magari con il pacchetto ammaccato o aperto)

Se non mi credete guardate queste foto, scattate dopo alcune visite al mio Too good to go di fiducia.

Siamo arrivati alla fine del mio articolo, io vi saluto e vi ringrazio di aver letto questo mio breve post sulla mia esperienza con il dumpster diving. Alla prossima!

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